pula o giumella  s.f.
Il residuo della concia di trebbiatura dei cereali

           
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A  FFA’ I TUFFI  ‘NNA  CAMA   era un gioco:

I TUFFI ‘NNA CAMA (TUFFARSI NELLA PULA)

Questo era uno dei giochi più assurdi che facevamo.
Oggi, non sarebbe più possibile nemmeno passarci vicino alla “cama” visto che siamo allergici persino al polline dell’ulivo!
Ma credo sia doveroso spiegare ai giovani (e forse anche a qualcuno meno giovane) cos’è la “cama”.

La cama è la pula o la lolla del grano e dei cereali in genere; cioè il residuo della spiga dopo la trebbiatura o per dirla come dice il dizionario: lolla, prodotto costituito dalle brattee (glume e glumette) che avvolgono la granella dei cereali; si produce dal cascame della trebbiatura nei cereali che hanno le brattee non aderenti al granello (frumento, segale) o da ulteriori lavorazioni di quelli che hanno le glumette aderenti (riso, avena). Le lolle si usano per lettiera del bestiame, per imballaggio o, raramente, come aggiunta ai mangimi (per es., quella di avena). La l. di riso (o pulone) che si ottiene dalle prime operazioni di sbramatura si presenta come una massa farinosa, di colore giallo, ed è costituita da sostanze proteiche, grassi, cellulosa, pentosani, sostanze minerali (prevalentemente silicati) ecc.; si usa nella preparazione di materiale isolante da impiegare in edilizia, nella fabbricazione di refrattari, nella preparazione di furfurolo ecc.
Certo, se avessimo saputo tutte ‘ste cose, da ragazzini, probabilmente saremmo stati più guardinghi e rispettosi nei confronti della cama e forse, chissà,  ora siamo allergici proprio perché sappiamo queste cose!
Appunto! Siccome sapevamo che era, insieme alla paglia, il resto della trebbiatura, per noi era molto divertente tuffarci nei mucchi che rimanevano qua e là per il terreno dopo la trebbiatura. Dal mese di luglio fino alla scomparsa dei mucchi, era uno dei passatempi più in uso (come andare in piscina!); oggi: “Che facemo dimà? Jamo ‘mpiscina?” Ieri:” Che facemo? Jamo a ffà ddu tuffi ‘nna cama?” Ahó! Ci fosse stato qualcuno che, a parte il gran prurito per la polvere, che scompariva con una sciacquatina, fosse stato allergico ; e si che c’erano anche residui delle ariste delle glume che sono come spilli, anche se molto fragili.
A questo gioco, poi, ci sono legati dei fattarelli anche un po’ comici; Agustu Pilurusciu (Augusto Milani il fratello di Tullio il pasticcere) era molto coraggioso ed imprudente e si tuffava sul mucchio di cama dai rami più alti della pianta, quando al massimo gli altri lo facevamo dai primi rami più bassi. Teniamo conto che il mucchio, quando era alto non raggiungeva i due metri e mezzo! Un giorno, non avendo visto il padre che era venuto a ritirare un po’ di cama per i buoi (avevano i buoi), urlando: “Guardete! So ll’omo mascherato!” si butta da un ramo che sarà stato a quattro metri da terra. Emilio, il padre, avendo sentito la voce del figlio, è subito venuto su da noi per portarselo via …ma Augusto non, diciamo così, riemergeva; dopo qualche decina di secondi, durante i quali ognuno di noi aveva pensato che avendo sentita la voce del padre, fosse rimasto sotto di proposito…qualche secondo ancora e, mi pare fu Mario Latini il primo a cercare di farlo uscire, ma quando scoprimmo la cama, era a terra semisvenuto e vedendo il padre disse con una voce fievole” papà…” «Papà un cazzu! T’ha ruttu l’ossu deu collu!» “ None…” e tentò di rialzarsi ma non ce la fece. Emilio rivolgendosi a noi “ Pijete “l’omo mascherato” èsso, e portetelu da Cerino vah! che io vengo appressu”. (Cerino era il medico). Dopo pochi giorni, non era più niente ma ormai la frase era stata assorbita come un avviso di pericolo. E ce ne sarebbero di fatti, ma non possiamo stare qua una serata…
Credo che noi, avendo vissuto questi momenti irripetibili, non li dimenticheremo mai, come è deducibile da questa poesia che ho ritrovato proprio giorni fa.

I TUFFI ‘NNA CAMA
Mendrisio(TI) 1970
Ieri so passatu a ‘na piazzetta
de’n paisittu svizzer’italianu
e me so trattinutu un’oretta
e cou penzeru stea a iì londanu!
Certi bardasci, scì, certi monélli,
come pe tuttu u munnu, io penzo,
steanu a giocane a buscarélli,
arréto all’Acchiesa ‘e San Terenzo.
Me stea a reportà quanno, monellu,
‘zemmora a tutti l’ari bardasciòtti,
a ‘nnù Commendu , drittu au Cancellu ,
facèmmo a’nna cama i casotti!
Sa come ha da èsse u cerevellu!
Co tanti penzeracci galeotti,
s’è missu a recordasse da monéllu!
E quando vado alla Posta o da Bruno Mozzo (officina Giubettini), mi pare di risentire “So ll’omo mascherato!”, “Tasto de tulo”, “ Me tuffo a sciufélà” ( e sbatte la testa al tronco).

Pierluigi Camilli