A SMONDÀ ‘E GRANATE (SMONTARE LE GRANATE) cariche per cannoni

Incosciamente per noi era un gioco che, fortunatamente,  non aveva mai fatto bessuno, a Murricone prima di noi.

Erano arrivati gli americani da qualche giorno ed i tedeschi (che ci avevano requisito la scuola per adibirla a caserma ed alla Villa Aureli avevano stabilito il Comando) erano scappati via, lasciando lungo la strada che dalla Tiburtina va alla Salaria, depositi di munizioni accatastati nei punti più nascosti. Era il 1945.
Molti, per non dire tutti, i ragazzi si andava, incoscientemente, a recuperare la polvere contenuta nelle granate per fare dei giochi assurdi e modificandone alcuni per usarla; in altri giochi. Per noi ragazzi era uno “sfizio” mentre più di qualche adulto, lo faceva per uso diverso; fare le buche per piantare alberi o fare mine per divellere (sradicà) piante o rompere rocce nei terreni o sulle strade. Qualcuno, si diceva, recuperava armi e munizioni con una mera illusione di una rivoluzione (come se non fosse stato abbastanza di vivere ancora sotto l’incubo di militari armati, anche se liberatori!)
Noi si andava, di solito, prima del bivio per La Creta, al ponte di Moricone, prima dell’enorme buca che era rimasta dopo la distruzione “ deu Casale de Filippó”, c’era una stradina che portava al Risecco, dove c’era un deposito. Eravamo quasi sempre gli stessi : Angelino Corvini, Emilio e Mario Cruciani, Damiano Teverini, io,  Michele, Settimio, Zenocrate Camilli, Marsilio Papi, Baldovino Arioni e qualche volta si aggregavano Mario Latini e l’altro mio cugino Gastone Camilli.
Ce n’erano altri, che non ricordo, ma eravamo proprio tanti. Per quel che mi concerne, sia io che i miei cugini, Marsilio e Mario, lo facevamo proprio come un gioco per recuperare polvere e miccette per darci fuoco, la sera quando ci si riuniva tra ragazzi subito dopo cena. Michele s’era inventata una pistola fatta con un ramo secco e sopra ci aveva legato un tubo dell’acqua e riempitolo di polvere o miccette dava fuoco e lo usava come ipotetico lanciafiamma.
È bene chiarire che le scuole ancora non riaprivano e quindi il giorno si bighellonava.
Quando i nostri genitori si accorsero di quello che andavamo facendo il giorno, ci fu un veto! Ma, di tanto in tanto, qualche “rimpatriata” con gli indefessi “smontatori” la facevamo, specialmente io e Marsilio.
Ho usato il termine smontatore, poiché proprio questo si faceva, si smontava il proiettile dal bossolo per recuperare la polvere. Come si faceva? Semplice, si prendeva la granata, si infilava la punta del proiettile in un’apertura adatta nella macera, ed effettuando dei movimenti ondulatori col bossolo, il proiettile si allentava e a volte restava infisso nella macera, così potevamo prendere la polvere. Angelino, addirittura, riusciva a svitare la parte superiore del proiettile, per recuperare il detonatore (che era una sorta di cilindretto lucidissimo, lungo tre o quattro centimetri e largo tre o quattro millimetri.
Ogni volta che ci ripenso, mi si mette un peso sullo stomaco: sia perché ripenso a quello che ora vi dirò, sia per l’incoscienza di cui eravamo dotati!
L’ultima volta che ci andammo, Marsilio ed io, doveva essere intorno al 22 ottobre 1945, poiché circa una settimana prima era stato il mio compleanno. quel giorno, Marsilio mi venne a chiamare per andare insieme a Colle Cerrati dove loro avevano le galline e mamma disse:” Però non trighéte, che doppu magnatu te tòcca ìi da sorota ‘nna gelateria!” (per la cronaca noi avevamo la gelateria in piazza, sotto dove ora c’è il dentista Teolis, a fianco al dottor Paolini).
Da Colle Cerrati, andammo al Risecco….e quando ci rendemmo conto che l’una era passata da un pezzo, abbandonammo l’impresa; mamma almeno a me, non mi risparmiò una bella lezione di ubbidienza a suon di manico di scopa!
Il giorno dopo, saranno state forse le nove, stavamo facendo “la mola” (forse un giorno vi racconterò anche questo gioco) sugli scogli “di Efisio”, for’u Mandriu, Marsilio, Gabriele, io e me pare o Fedele o Gualtiero, che passarono Emilio, Mario e Damiano; –Iamo!– fece Emilio; “ None, non ce venemo più: ieri  mamma m’ha massacratu de bòtte” risposi io; « Maddimà iamo solu ae talline» disse Marsilio, che amcora al èosto della C usava la T.
E stavamo a Colle Cerrati, quando sentimmo lo scoppio di una bomba e poco dopo, una colonna di fumo si alzò in direzione del cimitero, poco più giù.
Io e Marsilio ci guardammo senza dire nulla e continuammo a fare quello che stavamo facendo. Di lì a qualche ventina di minuti, sentimmo le urla e i pianti delle donne e vedemmo un gran via vai lungo la strada, verso la mola. (allora la mola di Orsini, stava vicino alla Madonna del Passo). Marsilio voleva andare a vedere, ma io preferì andare a casa, non perché mi fossi preoccupato per mamma (forse incosciamente sì) ma perché non volevo risentire il bruciore degli schiaffi.
Quando arrivai, saputa la brutta notizia, corsi subito a casa e mamma quando mi vide :- L’ha vistu quello che succede a fà i lazzaruni? Pori monélli!…Pôre mamme!- E scoppiò in un pianto che secondo me era frammisto di dolore e gioia!
Da quel giorno non ho potuto più dimenticare i volti di Damiano, Emilio e Mario, soprattutto gli occhi celesti quasi bianchi di Mario! Era il 23 o 24 di ottobre 1945.
Ma come si fa a giustificare le guerre?
Dal canto mio, ringrazio gli sganassoni di mamma. E per restare in tema di insegnamenti, scusandomi per la lungaggine, vi ripropongo una mia poesia

LO SGANASSONE
(1991)

A che serve de fa’ tanti discorsi
doppo che la traggedia è già scoppiata?
Serve forse a placacce dai rimorsi,
de nun ave’ la gioventù educata?
Ma chi l’ha detto che lo sganassone
leva quarcosa ar giovine o a’regazzo?
Viene frustrato, co’ la repressione?
Se brocca e po’ uscinne pure pazzo?
‘Mbé? N’era meijo si co’ ddu’ ceffoni
l’avessivo infrociato in quarche sito,
ch’avello trovo steso giù a bocconi?
Lo sganassone, amico mio der core,
dato ner giusto e ben distribuito,
hai da sape’ ch’è un cantico d’amore!